Lì dove c’era una città dal solenne aspetto
oggi vi albergano macerie e detriti,
a frotte barbari senza alcun rispetto
calano ad intervistar i morti ed i feriti.
Da sguardo fiero e d’orgogliosa stirpe
gli aquilani piangono i caduti
d’un terremoto e di un inganno turpe,
invocando i loro figli mai vissuti.
Trema la terra di dolore accorta
crollano case come castelli di sabbia
fugge la gente con la sua propria sporta
gridando al ciel la rovinosa rabbia.
Scrivete del cielo cupo dell’Abruzzo
che oggi qui ogni pensiero è spento,
incredulo di fronte ad ogni palazzo,
ogni immagine sbiadita, ogni taciuto canto.
L’Aquila mesta ed ammantata a lutto
volteggia bassa a frugar tra le macerie,
mentre esplode un gemito a dirotto
s’alza il rifiuto dell’ennesima barbarie.
Anonimi angeli giunti sul luogo ferito
volontari da ogni lontana regione
mettendo da parte lo sguardo attonito
lavorano con umile abnegazione.
Un dubbio cresce nella memoria cieca
case abusive e leggi mai applicate
hanno arricchito gente vile e bieca
ma sterminato quelle innocenti vite.
Quante tragedie dovremo ancor vedere
in questo bistrattato e povero Stivale
quante altre volte cadranno le barriere
delle nostre case e di pianura alluvionale.
Quanti morti per finalmente poi capire
per evitare l’ennesima tragedia annunciata;
quand’è che l’uomo imparerà ad amare
il proprio fratello, e questa terra bistrattata.
Non è la Natura che disdegna l’uomo
non è la Terra che mostra le sua braccia forti
è l’uomo che specula su un altro uomo:
è ora che i vivi chiedano perdono ai morti!
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