Un giorno la giovinezza, con circospezione
Abbandona arbitrariamente i capolinea. Ecco.
E io ricordo le finestre che si accendono al pianterreno
Sul vialone, e somigliano così profondamente ai radi
Ragionamenti che faremo sul punto di morire,
in articulo, con l’ombra degli amici, a fior di mente.
Invero non so più se viva tra le secche
ancora il suo tepido serpire, adesso,
in provincie gelate, come una romanza
fine e perenne sul filo della schiena, ma davvero
so che nelle lacrime lombarde, ove credemmo
di mieterci a vicenda, vagabondi baleni
dissipavano i veli nuziali alle riviere.
Ed era un nome d’alta Italia, a ripensare bene,
era un nome questa raffica, che non osi
più inseguire? E la felicità dell’Occidente
si salva in Occidente?
Disabitate ormai le alzaie, e disperando
ormai del nostro sentimento )e la nebbia
ormai mietuta che ci stringe a mezza vita),
disabitate le alzaie e disperando ormai
se la patria fosse una cittadinanza unica e reale,
andrebbe ricordata in un risucchio, a capofitto
per le celesti aiuole, la parte più dimessa
del nostro pensare lontanamente andrebbe
ricordato uno spesso passaggio di brumisti
e di taxi, quel che tossisce sul margine caduco
del Naviglio, o libero tra le pioppe luccicanti
che i diti del vento tamburellano lassù, il brivido
dell’ultimo brum, in una corsa matta, che ci porta
via tutti i fanali e il nostro cuore salutando.
Emilio Villa
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