Il paese scende, paese diviene,
qui con te cede il monte
davanti alle prove immature
di un giorno che tentò grandezze
di colmi fieni
Tu sei custode e causa
dei nostri pochi pensieri d’infermi
chiusi nel denso maggio
da calve piogge e ghiacci di Golgota
E la pietà di maggio s’allontana
per selve e soli
e disperanti attese di papaveri
sulle soglie dei vivi e dei morti
tra i crudi crismi delle piogge
Nessuna svolta di tante strade
si attarda per te
per rifarti tra noi
altro dal ferreo stupore
dall’oscuro limite ove esisti
E noi ti proteggiamo
dall’essere di ciò che ora sei.
Si libera il monte il tuo monte
sulla statura di tutti i paesi
e della vita in cui persistiamo
ciechi di piogge e boschi,
le tempie sopraffatte dal golfo boreale
dei cieli che ti consunsero,
impuri e smorti i passi
tra il respiro della bella e l’errore del demente
Lassù non è più luce
forse né azzurro, d’angosciosi pollini
primavera pasce le creste vuote,
sera senza gloria è la neve
tra vischiose larve di bufere,
ma al tuo giaciglio fa guardia
la nera alluvione
quanto è tra noi sorprendono,
ogni nesso e figura
gl’irosi torrenti
Tanti scoscesi terrori
e pietrose distanze violando
rompi tu solo al petto, amore,
tu via più precipite
su noi su tutti i nostri
giorni spezzati e brulicanti,
su tutto il folto della primavera.
Andrea Zanzotto
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